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Micu Pelle

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All'ombra dei cipressi - Micu Pelle
E' SUGNU COMUNISTA E MI LA VANTU
di Pasquale Crupi

Nato ad Antonimina (Reggio Calabria) il 26 ottobre del 1910, è subito tolto dalle scuole elementari dalla morte del padre Nicola, uno dei tanti contadini naufraghi sulle terre padronali.
Contadina è pure la madre Teresa Fazzari.
Entra subito nell'esercito del lavoro, che nella Calabria del primo cinquantennio del Novecento non ha riguardi per l'età e offre non una mercede, ma una elemosina.
A soli 16 anni, su incitamento di uno zio "americano", raggiunge l'Argentina e comincia a piegare la schiena, solo la schiena, nei campi di granoturco e patate di Tandil in provincia di Buenos Aires.

Una vita per il riscatto della povera gente

Poi, a Buenos Aires si fa operaio edile ed entra nel movimento anarchico.
Si agita e agita fino a quando non viene espulso nel 1934 come elemento "indesiderabile e sovversivo a carattere internazionale".
Al paese lo attende una denuncia per renitenza alla leva.
Dal 1939 al 1943 è sotto le armi.
E nella fornace ardente matura il suo passaggio al comunismo di cui per tutta la vita sarà convinto organizzatore e propagandatore.
Fu un capopolo e un tribuno del popolo l'autodidatta Micu Pelle.
La sapienza contadina gli dettava apologhi insuperabili e il piccolo mondo borghese di Antonimina, foderato di lauree, tremava e si rincantucciava di fronte a questo dialettico formidabile, che aveva la sua scuola nella Camera del Lavoro e nella Sezione del Partito comunista, cioè, nella vita del popolo, che fremeva di dolore, di ferite, di lotta e di speranza.
Ebbe responsabilità di dirigente provinciale del Partito e fu per ben due volte sindaco di Antonimina nel 1956 e nel 1970.

Non Muore una idea dell'Uguaglianza

Non ebbe dubbi Micu Pelle che non potesse morire una idea dell'uguaglianza degli uomini, l'internazionalismo proletario e dettava a questo modo il manifesto della sua vita mai in quiete:
E sugnu comunista e mi la vantu,
cumpagni ndajiu pe tuttu lu mundu,
fin'a chi nc'esti l'urtimu tirannu
o jancu o nigru, u vaju cumbattendu,
fin'a chi tutti libari non sunnu
u scighinu u governu comu vonnu.
(E Sugnu comunista, in Micu Pelle, Strifizzi e spiranzi - a cutra di B. Pelle, M. Pelle, U. Mollica-, Arti Grafiche Edizioni, Ardore Marina 1996).
Morì il 3 maggio del 1989. Don Alfredo Schiavello, parroco di Antonimina, che lo vide, negli anni del grande scontro ideologico, come un nemico di Dio e della Chiesa, gli diede il viatico per il passaggio all'infinito con queste parole: "Umile tra gli umili, ha cercato di attuare il Vangelo che ben conosceva, da uomo privato, da padre di famiglia e da primo cittadino, sforzandosi di alleviare le sofferenze di molti" (B. Pelle, M. Pelle , U. Mollica, Introduzione a M. Pelle, Strifizzi e spiranzi, cit., pag. 21).

Comunista Poeta

La prima striminzita raccolta di versi di Mucu Pelle appare nel 1974. E' a cura di chi scrive ed è stampata dalla tipografia La Rocca di Reggio Calabria. Ha per titolo Risbijamundi.
Ora, Bruno Pelle, Mimmo Pelle, Ugo Mollica, dopo anni di pazienti ricerche, hanno riunito nel volume, ben consistente, Strifizzi e spiranzi, di sopra citato, la quasi totalità del mai intermesso esercizio poetico con apparato storico-estetico-filologico.
La connotazione di Micu Pelle poe ta è senza dubbi. I suoi sono i versi di un comunista-poeta, non di un poeta comunista. Poeta perché comunista, non malgrado che sia comunista. Senza la fede nel comunismo, Micu Pelle non sarebbe stato poeta. Poichè è chiaro: la passione di Micu Pelle è passione politica. E questa, quando lascia l'azione e si fa parola - parola versificata - incidentalmente, occasionalmente si tramuta in epifania lirica. Non ci sono fondamentalmente che due poli nella poesia di Micu Pelle: la campagna, prima piena e poi, vuota: la città dell'Italia del Nord, del 'Europa, del mondo, che si affolla di forzati della terra in fuga. Micu Pelle non mitizza la campagna, come fa Corrado Alvaro,  non mitizza la città, come fa Saverio Strati.La campagna non è un insieme di rose e viole, di storme frementi e di erbe verdi. E' zolla dura, zappa che storpia, cammino nella notte senza stelle e senza luna, agguato di dirupi, ululato di cani e di lupi, sfruttamento dell'uomo sull'uomo, il grande proprietario, che muore d'indigestione, e il contadino, il bracciante, il colono, che muoiono dei crampi dello stomaco digiuno.Bello è solo ciò che appartiene a tutti e non può diventare proprietà di nessuno: il mare, il sole, il cielo, il profumo dei fiori. Tutto il resto è terra, che non è campagna. E' proprietà esossa, fiscale. Bella, accogliente non è neanche la città per i terrazzani in fuga. Gli emigrati dalla Calabria sono trattati come schiavi. Fanno tutti i lavori che agli altri non piace fare. Conoscono il  buio delle miniere e spesso là dentro il buio della morte. Nascono i calabresi con il sentimento di dover partire. Partono con il sentimento di dover tornare. La nostalgia li impolvera, ma non è nostalgia regressiva. La sua è una nostalgia rivoluzionaria. Il ritorno al paese del Sud è un accucciarsi nel perimetro del focolare domestico. E' un appuntamento di lotta per trasformare la Calabria dove vi sono intatte, in piedi le condizioni per una vita diversa. L'emigrazione non è la via del Signore, non è l'unica alternativa crudele, ma possibile, alla mancanza di lavoro e di pane. Il comunista-poeta sa bene che l'emigrazione può essere evitata allargando l'apparato produttivo del Mezzogiorno, realizzando la riforma agraria, dando la terra a chi lavora. Dentro questa ipotesi non vede più i contadini proni, subalterni, disposti a baciare la mano del padrone, che li schiaffeggia. Li vede e li assume come protagonisti della lotta per il riscatto del Mezzogiorno, della Calabria, dei loro stracci.

Realismo Socialista per Passione

La parola di Micu Pelle in questa fase, entra nel conflitto sociale, nell'antagonismo tra proprietari e contadini. Diventa manifesto, bandiera. Ha uno scopo lucido e preciso: chiamare alla lotta, fare crescere la coscienza dei lavoratori, educarli allo spirito del socialismo. Il metodo è quello del realismo più realista che si possa immaginare: il realismo socialista. Questo non si limita a rappresentare veridicamente quello che c'è. Fa sentire la necessità della trasformazione rivoluzionaria della società, la direzione in cui va la storia, la prospettiva e lo sbocco ineluttabile nel regno della libertà, che coincide con il comunismo. Risulta evidente che questo percorso finisce con il deformare la realtà, con lo scatenare forze, che nella realtà non sono cospicue, con il rappresentare coscienze  elevate, che ancora non si sono formate, con il dare un indirizzo apostolico e propagandistico alla rappresentazione poetica. Micu Pelle non se ne avvedeva. Ma si avvedeva che la poesia, la quale sognava la Città del Sole, era stata sconfitta così come storicamente era stata sconfitta la voglia di riscatto delle popolazioni meridionali. La sua parola allora tornava dentro la realtà, poesia e miseria senza riscatto si riconciliavano. 

Ultima modifica: giovedì, 14 marzo 2024

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